La schizofrenia in nuovi studi
GIOVANNI ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 18 marzo
2023.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE/AGGIORNAMENTO]
La schizofrenia o disturbo schizofrenico,
è ancora oggi classificata in nosografia e diagnosticata in base alla sintomatologia
clinica, pur avendo eliminato l’identificazione differenziale delle forme definite
dalla psichiatria del ventesimo secolo (simplex, catatonica, ebefrenica e
paranoide), perché le manifestazioni cliniche costituiscono il principale
riferimento per l’intervento terapeutico. Anche se non si conosce la sequenza di
eventi molecolari che determina la fisiopatologia del cervello schizofrenico,
né si ha idea di tutte le differenti vie che portano al profilo clinico del più
grave dei disturbi psicotici, oggi si ha un riferimento certo nella connotazione
di disturbo neuroevolutivo e, sebbene la maggior parte degli indizi
eziopatogenetici siano di natura molecolare, per la patogenesi dei sintomi non
si risale molto oltre le anomalie di interazione fra reti, interpretate come
alterazioni delle connessioni fisiologiche fra regioni cerebrali o disconnettività.
Sono per questo sempre di grande interesse gli studi
sulla dinamica funzionale delle connessioni o connettività nella schizofrenia
e le recenti analisi del connettoma nei pazienti schizofrenici.
Negli studi di neuroimmagine funzionale i criteri di
valutazione sono piuttosto banali e si possono ridurre a due dicotomie relative
all’attività: assenza/presenza e aumento/riduzione. Ma l’interpretazione del
significato delle differenze dal cervello dei sani fungenti da controllo è spesso
tutt’altro che semplice. Per migliorare l’interpretazione e ricavarne nuovi
dati sulla neurofisiopatologia della schizofrenia, si fa riferimento agli studi
su struttura e funzione della sostanza bianca telencefalica. Anche se l’interesse
suscitato da questa metodologia è notevole, finora i risultati non sono stati
all’altezza delle attese per una lunga serie di ragioni, fra le quali citiamo
solo le principali: 1) il numero limitato delle persone studiate nei singoli
campioni; 2) la possibilità che gli stessi sintomi siano generati da processi
diversi; 3) la mancanza di un endofenotipo schizofrenico unico e distinto da
quello normale; 4) la straordinaria variabilità individuale di molte delle connessioni
telencefaliche minori.
Le principali formazioni profonde e vie di connessione
della sostanza bianca cerebrale sono state studiate in grande dettaglio al fine
del confronto tra pazienti affetti da psicosi schizofrenica e persone
neurotipiche, come nel caso del fascicolo arcuato. Al contrario, gli
studi delle connessioni a breve raggio, come i tratti conformati a “U” o fibre
a U che collegano regioni tra loro prossime, sono stati molto limitati sul
cervello schizofrenico, sia perché tali tratti sono numerosissimi, sia perché
le differenze da un cervello all’altro, dovute a variazioni spaziali
individuali, precludono la caratterizzazione probabilistica, che richiederebbe
affidabili “modelli” di riferimento. Jason Kai e colleghi hanno adottato la
metodica della diffusione in risonanza magnetica nucleare (dMRI,
da diffusion magnetic resonance imaging) per studiare le fibre a U
della sostanza bianca telencefalica superficiale del lobo frontale di pazienti
schizofrenici, ottenendo risultati degni di nota.
(Kai
J. et al., Aberrant frontal lobe “U”-shaped association fibers in first-schizophrenia:
A7-Tesla diffusion Imaging Study. Neuroimage Clinical – Epub ahead
of print doi: 10.1016/j.nicl.2023.103367,
2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Medical Biophysics, Schulich School
of Medicine & Dentistry, The University of Western Ontario, London, Ontario
(Canada); Robarts Research Institute, The University of Western Ontario, London,
Ontario (Canada); Lawson Health Research Institute, London, Ontario (Canada);
Douglas Mental Health Institute, Department of Psychiatry, McGill University,
Montreal, Quebec (Canada).
Jason Kai e colleghi hanno impiegato la dMRI per
studiare in vivo nei partecipanti al campione la sostanza bianca subcorticale
della corteccia cerebrale dei lobi frontali, che include fibre che collegano
giri adiacenti o a breve distanza tra loro, comparando le persone sane con
requisiti generali equivalenti, fungenti da controllo, a pazienti in trattamento
minimo con esordio schizofrenico o “primo episodio” (meno di 3 giorni di media
di trattamento).
In questa fase clinica precoce del disturbo
schizofrenico sono stati individuati 3 su 63 tratti di fibre a U (“U”-shaped
tracts) che dimostrano aberrazioni localizzate interessanti le proprietà
microstrutturali del tessuto, definite via DTM (diffusion tensor metrics).
Non è stata rilevata alcuna associazione nei pazienti tra segmenti aberranti
dei tratti interessati e variabili cliniche o cognitive misurabili.
La presenza di aberrazioni nei tratti
conformati a “U” nelle fasi iniziali della psicosi, col cervello dei pazienti
non ancora interessato da effetti del trattamento, è risultato indipendente dall’entità
della sintomatologia, e le aberrazioni appaiono distribuite attraverso reti
cerebrali critiche associate all’elaborazione di funzioni cognitive
e del rilievo della salienza.
Gli autori in questo studio hanno limitato la loro
indagine al lobo frontale, ma hanno definito il quadro concettuale e il protocollo
per proseguire l’analisi delle connessioni a breve raggio fra regioni
cerebrali, estendendola a tutti i lobi del cervello, e sviluppando l’interpretazione
in concomitanza con la stima funzionale delle grandi vie di connessione
profonda degli emisferi.
Il valore di questo contributo alla conoscenza fenotipica
della connettività schizofrenica non può essere messo in dubbio ma, sul piano
della comprensione dei rapporti tra manifestazioni cliniche e correlati
cerebrali, anche scoprire aspetti aberranti delle connessioni brevi in tutti i
lobi cambierebbe poco. La conversazione con un paziente schizofrenico
compensato, ossia non attualmente delirante, consente anche a chi non è
psichiatra di rilevare una differenza, rispetto a sé stesso e alle altre persone
non affette, di atteggiamento mentale verso i fatti della vita, che si può
riportare ad un uso dei paradigmi cognitivi elementari sottostanti i giudizi e
le scelte. A volte sorprende come lo schizofrenico nella scelta tra una
possibilità gratificante e una frustrante scelga la seconda o sospenda la
decisione sine die, senza fornire una razionalizzazione. Ecco, gli
psichiatri e molti ricercatori vorrebbero conoscere lo specifico sostrato fisiopatologico
di questo stile mentale.
In tesi generale, le alterazioni del rapporto fra
cognizione, gratificazione e ricompensa negli schizofrenici sono ascritte a una
parte dei sistemi cortico-basali, ossia quelli fronto-striatali, nei quali sono
state rilevate anomalie sinaptiche e di connessione.
Jason Smucny e colleghi dell’Università della California
di Davis hanno preso le mosse dal deficit degli schizofrenici nella capacità di
valutare correttamente il rapporto tra sforzo e vantaggio, e hanno deciso di
allestire una sperimentazione al fine di individuare la base neurofunzionale di
questo difetto di computo. Il disegno sperimentale per lo studio in risonanza
magnetica funzionale del cervello si è basato su questa ipotesi: dato il ruolo
dei circuiti fronto-striatali nella motivazione orientata dalla valenza,
si ipotizza che negli psicotici questi circuiti possano disfunzionare o non predire
appropriatamente il comportamento di questi pazienti, quando le condizioni del
compito sono difficili e la buona prestazione è ricompensata.
(Smucny
J. et al., Altered Association Between Motivated Performance and Frontostriatal
Connectivity During Reward Anticipation in Schizophrenia. Schizophrenia Bulletin – Epub ahead of print doi: 10.1093/schbul/sbac204, March 13, 2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, University
of California, Davis, CA (USA); Department of Neurology, University of California,
Davis, CA (USA); Departments of Psychology and Computer Science, University of California,
Davis, CA (USA).
Per un’introduzione alla schizofrenia si veda in Note
e Notizie 12-11-22 Schizofrenia ridefinita dal trascrittoma del caudato, in
cui si trovano i riferimenti a numerosissime recensioni di nuovi studi, oltre a
cenni storico-introduttivi; alcuni riferimenti si trovano anche in Note e
Notizie 12-11-22 Talamo in adolescenza e patogenesi della schizofrenia.
Consideriamo in sintesi gli aspetti rilevanti e l’interessante risultato
del lavoro di Jason Smucny e colleghi. Il campione di 100 volontari era
costituito da 52 persone con recente esordio di un disturbo dello spettro della
schizofrenia e 48 prive di disturbi psichici fungenti da gruppo di controllo. L’osservazione
cerebrale è stata condotta con fMRI (functional resonance magnetic imaging)
3T durante l’esecuzione di compiti sperimentali con 2 condizioni di valenza (ricompensata
contro neutra) e 2 condizioni di difficoltà.
Gli autori dello studio hanno estratto la connettività frontostriatale
dalle immagini funzionali rilevate durante la fase anticipatoria o di stimolo
della prova sperimentale. L’andamento individuale è stato definito mediante un
modello di drift diffusion, consentendo al parametro di performance o drift
rate (DR) di variare tra le condizioni del compito.
Nei risultati, i parametri di prestazione DR presentavano l’attesa
correlazione positiva con la precisione e l’altrettanto attesa correlazione negativa
con il tempo di reazione. Rinviando per i dati numerici e statistici al testo dell’articolo
originale, osserviamo che l’esito delle prove indica che nelle persone affette
da disturbi dello spettro della schizofrenia la connettività frontostriatale
è meno predittiva della prestazione quando c’è una ricompensa come incentivo e
quando il compito è più difficile.
In altre parole, questi risultati sono compatibili con la possibilità che
l’alterata connettività frontostriatale sia alla base di questo segno
cognitivo-comportamentale della schizofrenia.
Una questione di attualità, apparentemente distante dalla ricerca sulla base
cerebrale o neurofisiopatologica dei sintomi, ma che ci riporta al problema
dell’eterogeneità delle condizioni che si fanno rientrare nella diagnosi di
schizofrenia, è una riflessione sulle forme ad esordio tardivo.
Nelle principali stime epidemiologiche, il picco del primo episodio psicotico
è collocato nella terza decade di vita, nel sesso maschile più vicino ai venti
anni e in quello femminile più prossimo ai trenta. Complessivamente, se si
escludono i rarissimi – e non certi per diagnosi – casi ad inizio prima dell’adolescenza,
l’esordio di tutte le forme tipiche di schizofrenia avviene in un arco
temporale che va dalla fine della seconda decade di vita a metà della quarta.
Vi sono tuttavia, in una proporzione che varia nel mondo, casi che si
manifestano clinicamente dopo i quarant’anni ed evolvono con andamento
oscillante o costantemente progressivo.
Camilla Krogh e colleghi di un team danese hanno fatto il punto
della situazione clinica sulla psicosi schizofrenica ad inizio tardivo.
(Krogh
C. et al., Late-onset schizophrenia. Ugeskr Laeger – 185 (7):
V10220591, 2023).
La provenienza
degli autori è la seguente: Amager Psychiatric Center and Institute for Clinical
Medicine, Københavns (Copenhagen) University, Copenhagen (Danimarca).
I pazienti affetti da schizofrenia ad inizio tardivo
– si sottolinea nella rassegna – costituiscono un sottogruppo diagnostico ben
caratterizzato e riconoscibile, in quanto alcuni aspetti evidenti definiscono
una Gestalt differente da quella caratterizzata dalla nosografia corrente sulla
psicosi, ma proprio per questa ragione sussiste il rischio di un mancato
rilievo diagnostico.
Camilla Krogh e colleghi propongono questi caratteri per il sottogruppo
ad esordio tardivo: nella massima parte dei casi si tratta di donne; tutti
gli affetti sono caratterizzati da un livello di istruzione più alto della classe
diagnostica generale; l’affettività sembra preservata e spesso il funzionamento
sociale è conservato a lungo; le donne affette sono sempre in sovrappeso, sono
sposate o lo sono state e hanno più figli delle donne sofferenti del disturbo
ad inizio giovanile. La sintomatologia è caratterizzata da deliri di
persecuzione e da una presenza quasi costante di allucinazioni uditive[1]. Più in generale, deliri e
allucinazioni prevalgono sulle altre manifestazioni cliniche tipiche della
schizofrenia.
Alla luce di questa caratterizzazione, si comprende il dubbio che si
tratti della stessa entità patologica della schizofrenia tipica ad esordio
giovanile; dubbio rappresentato da vent’anni dalla nostra società di
neuroscienze e riportato poi nel DSM-5[2].
Infine, non si può ignorare uno studio in pre-pubblicazione
da qualche settimana sull’associazione tra acido arachidonico (e altri PUFA) e
rischio di schizofrenia, sia perché impiega un riferimento a 24 paesi del mondo
sia per il rigore metodologico col quale è stato condotto, anche se rimarremo a
prudente distanza dalle conclusioni che gli autori traggono dai risultati.
(Gao
Y. et al., Association between Arachidonic Acid and the Risk of
Schizophrenia: A Cross-National Study and Mendelian Randomization Analysis. Nutrients – 15 (5):
1195, 2023).
La provenienza degli autori è la seguente: Bio-X Institutes, Key Laboratory for the Genetics
of Developmental and Neuropsychiatric Disorders (Ministry of Education),
Shanghai Jiao Tong University, Shanghai (Cina); Department of Bioinformatics
and Biostatistics, School of Life Sciences and Biotechnology, Shanghai Jiao
Tong University, Shanghai (Cina).
Gli acidi grassi polinsaturi (PUFA), specialmente a
lunga catena (LCPUFA), sono molecole cruciali per l’integrità strutturale e
funzionale delle cellule. Nella schizofrenia è stata rilevata una carenza di
PUFA, e il conseguente danno delle membrane cellulari è stato ipoteticamente
ritenuto da alcuni un possibile meccanismo eziologico della psicosi. Yan Gao e
colleghi hanno indagato l’associazione tra l’assunzione alimentare di PUFA e l’incidenza
della schizofrenia, mediante analisi di correlazione e conducendo analisi di
randomizzazione mendeliana per individuare un ruolo causale.
I risultati ottenuti dai ricercatori di Shangai
mostrano che il deficit di ω-6 LCPUFA, e specialmente quello di acido
arachidonico, è associato epidemiologicamente a un maggiore “rischio”, ossia elevata
probabilità di schizofrenia. Questo è quanto risulta oggettivamente. Nella
discussione Yan Gao e colleghi sostengono che il loro
studio fornisce nuova conoscenza sull’eziologia della schizofrenia e indica l’integrazione
dietetica per la prevenzione e la cura della schizofrenia.
Queste affermazioni per noi sono quantomeno
imprudenti, perché per parlare di causa è necessario individuare i meccanismi biologici
del nesso di causalità tra la carenza e un endofenotipo cerebrale
schizofrenico; piacerebbe anche a noi che il problema del più grave disturbo
psichiatrico, che impegna la ricerca da oltre un secolo, si potesse risolvere
mangiando un po’ di arachidi ogni giorno.
Non ci sembra superfluo ricordare che alcuni studi
condotti in passato su elementi biochimici dei neuroni del cervello schizofrenico
tendevano a considerare le peculiarità come espressione di fisiopatologia,
ossia del funzionamento patologico dovuto alla malattia. Oggi si assiste invece
a un ritorno alla tendenza ad attribuire a questi rilievi un ruolo causale,
come accadeva negli studi pionieristici di biochimica della schizofrenia.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-18 marzo 2023
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale
di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience,
è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data
16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica
e culturale non-profit.